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I FENICIO-PUNICI

I FENICIO-PUNICI

Alle ultime colonie di fenici (popolo semitico di grandi navigatori, originario delle coste del Libano, la cui attività si espanse nel Mediterraneo dal X al IV secolo a.C.) sbarcate in Sardegna si attribuisce la fondazione dei primi villaggi costieri, in funzione del commercio marittimo.

I fenici toccarono la Sardegna intorno la IX secolo a.C. sulla scia delle navigazioni commerciali Cipro-Micenee, senza disegno coloniale nella mente, ma per semplice prospezione, ai fini di mercato, e, dunque, di procacciare utili contatti col ceto aristocratico indigeno(1).

Nel declinare dell'VIII secolo, gli antichi prospettori semitici, verificatesi le condizioni favorevoli di luoghi e di consenso dei Principi nuragici, diedero vita a fondachi per i loro commerci, che, più tardi, divennero veri e propri centri abitati, con nuclei consistenti di immigrati, di provenienza da Cipro e dalla Fenicia costiera meridionale (Tiro e Sidone)(2): Nora, Bosa, Sulci, Tharros e, non molto dopo, Carales e Bitia.

La penetrazione nell'immediato retroterra non tardò a manifestarsi: i dati archeologici attestano per il VII secolo una fascia costiera notevolmente aperta, sotto l'aspetto economico e culturale, ai nuovi influssi.

Per quanto riguarda la Trexenta, fra il VII e VI secolo, da parte di Caralis fu attuato un movimento di espansione territoriale, col duplice scopo di dare maggior respiro e sicurezza alla città e di garantirle risorse alimentari adeguate al suo sviluppo demografico(3). Ovviamente, l'espansione territoriale fenicia dovette incontrare una decisa opposizione da parte dei protosardi, che, del resto, in quell'epoca avevano raggiunto, insieme con un alto livello di cultura materiale e con una più profonda coscienza dei propri diritti e possibilità anche una maggior forza militare. Era dunque inevitabile lo scontro armato fra i due popoli.

In Trexenta sono scarsi i ritrovamenti di periodo fenicio, ed attribuibili ai rapporti commerciali tra fenici e indigeni(4).

E' probabile che l'opposizione protosarda sia stata resa ancor più decisa dai greci, che durante il VI secolo a.C. avevano tutto l'interesse a fomentare l'odio e il desiderio di riscossa degli indigeni contro i fenici. Parte delle ceramiche greche di cui si trovano sempre più spesso i frammenti sparsi sul terreno nelle campagne della Trexenta oltre che della Marmilla e dei Campidani, sconvolte dalle arature profonde, potrebbero essere state portate da mercanti greci.

Infine, intorno alla metà del VI secolo a.C., la minaccia rappresentata dalla controffensiva dei protosardi e la diffusione negli ambienti commerciali fenici della Sardegna della notizia dell'interesse dei greci, già attestati ad Alalia, in Corsica, a una colonizzazione della Sardegna, indussero Cartagine, fiorente e potente città di origine fenicia, ad un intervento al fine di evitare che il commercio fenicio, che rappresentava la parte vitale delle sue attività, venisse daneggiato o addirittura annullato in alcuni settori del Mediterraneo occidentale(5).

Cominciò così la conquista cartaginese della Sardegna, che culminò, dopo alterne vicende, con l'occupazione di tutte le coste e delle aree interne di forte interesse economico.

Impostisi definitivamente sulla Sardegna, i cartaginesi ne sfruttarono le risorse agricole e minerarie.

Questa progressiva penetrazione nell'isola, nelle sue pianure e nelle zone collinari è ampiamente documentata.

Con il passaggio da un'economia di tipo cittadino ad un'economia di tipo "nazionale", un interesse ed un controllo particolari vennero riservati alle zone di forte rilevanza economica, mineraria o di destinazione agricola.

Tra queste, la Trexenta, territorio particolarmente fertile e adatto all'introduzione della monocoltura e, nello stesso tempo, naturale via di passaggio per le zone minerarie del centro montuoso (in particolare: Funtana Raminosa di Gadoni).

L'organizzazione coloniale della regione era basata su insediamenti sparsi e garantita, contro possibili minacce allo sfruttamento delle risorse ed alla sicurezza dei coloni, da opere fortificate, strategicamente situate.

Uno di questi centri sorgeva, probabilmente, presso il nuraghe Nuritzi di Selegas, abitato da genti di origine punica, come attestano numerosi frammenti ceramici rinvenuti in superficie(6). Già nel V secolo a.C., questi abitanti utilizzavano oltre a ceramiche puniche, materiale d'importazione, come dimostrano i numerosi frammenti riferibili a ceramiche attiche a vernice nera e sovradipinte in bianco(7).

Il vasto centro punico di Nuritzi era costituito da vani rettangolari realizzati con muri di pietra e fango e probabile copertura lignea(8).

Il territorio della Trexenta era servito da un tessuto viario fittissimo e di notevole importanza sviluppatosi intorno alla via che collegando Cagliari alle miniere di rame di Gadoni, attraverso i territori del Campidano, della Trexenta e del Sarcidano e la Media valle del Flumendosa, doveva svolgere, appunto, funzioni strategico-militari.

Dell'importanza delle attività commerciali dei cartaginesi testimoniano in Trexenta i resti punici ritrovati nei territori di Selegas, Suelli, Senorbì, Ortacesus, ecc., che si distinguono per tipologie e livelli cronologici, lasciando intravedere un quadro di gruppi umani dai complessi rapporti, socialmente ed etnicamente articolati. Vasellame attico, etrusco e laziale, fu introdotto nell'isola tra la fine del V secolo ed il III secolo a.C., soprattutto a partire dal 348 a.C., in regime di sostanziale monopolio commerciale punico(9).

La Sardegna era per i cartaginesi fonte di approvvigionamento di metalli, serbatoio di uomini per gli eserciti mercenari e terra ricca di messi(10).

Furono i cartaginesi a iniziare le grandi coltivazioni di grano nel Meridione sardo, e la tradizione fa discendere a loro l'abbattimento degli alberi fruttiferi, un tempo numerosi, dato che sotto il loro dominio, si puniva con la morte chi avesse tentato di coltivare altro all'infuori di cereali(11).

Si può pensare ad una dura punizione, non infrequente nel caso di popolazioni vinte e sottomesse, ad un modo d'impedire la concorrenza degli oliveti sardi a quelli fiorenti africani, ma anche alla volontà di valorizzare le colture granarie isolane, che dalle colture arboree potevano essere compromesse.

Le spighe di grano che appaiono in numerose emissioni monetali della Sardegna punica, sono un esplicito riferimento alla fertilità delle terre sarde, che contribuivano in misura notevole all'approvvigionamento di Cartagine e dei suoi eserciti(12).

E' soprattutto la Trexenta, con le vicine zone della Marmilla e dell'Arborea, che si ritiene fosse uno dei cosiddetti granai di Cartagine prima, e di Roma in seguito.

La Trexenta, come le altre pianure della Sardegna, conobbe con i cartaginesi un intenso sfruttamento di tipo latifondistico con colture cerealicole.

In tal modo, alla vecchia oligarchia, che dal commercio traeva alimento per le sue ricchezze, non tardò ad affiancarsi, nelle città puniche, una nuova oligarchia terriera, che aveva la disponibilità delle grandi pianure isolane, se pure soggette al versamento a Cartagine di una parte dei cereali raccolti(13).

Il personale era costituito da affittuari e piccoli imprenditori liberi, la manodopera da liberi lavoratori e, nella fascia più bassa, da schiavi sardi e libici, per la maggior parte prigionieri di guerra, questi ultimi trasferiti dall'Africa d'autorità(14).

L'elemento sardo partecipava a questo sfruttamento delle colline e delle pianure cerealicole isolane, non solo a livello di manodopera servile, ma anche di piccola proprietà e perfino di proprietà latifondista. Quest'ultimo fenomeno fu un prodotto della profonda integrazione sardo-punica, che legò molti sardi al carro degli interessi cartaginesi(15).

Anche in Trexenta dovette esistere una classe progredita e ricca, a ragione delle vaste colture granarie. A Monte Luna-Senorbì, i morti delle sepolture ipogeiche erano corredati di pendaglioni in oro di fattura attica e di anelli d'oro(16).

Sin dal secolo IV a.C. la cultura materiale dei centri abitati della Sardegna è caratterizzata sia da elementi di tradizione punica sia da elementi di tradizione protosarda, che si influenzarono reciprocamente. Si verificò una integrazione della cultura semitica e sarda nella forma della civiltà sardo-punica.

Della civiltà punica, gli aspetti che dovettero apparire particolarmente positivi ai protosardi furono certamente la formula insediativa urbana, l'architettura domestica, l'edilizia e le tecniche artigianali in genere; peraltro il rientro degli abitanti nuragici nelle antiche sedi delle pianure e delle zone collinari a suo tempo conquistate, avvenne non molto tempo dopo le distruzioni conseguenti alla conquista, con la creazione di nuovi villaggi caratterizzati da dimore influenzate da tipologie planimetriche ed edilizie semitiche.

Anche sul piano religioso si ebbe un fenomeno d'integrazione: non mancavano, del resto, certe affinità di base fra le due religioni entrambe di natura mediterranea(17). L'una e l'altra, infatti, erano espressioni di una spiritualità che prescindeva dalle categorie logiche, per assurgere ad una concezione unitaria della divinità, pur nelle molteplici espressioni o forme che le venivano attribuite. Per i protosardi quella divinità era sostanzialmente il Principio Cosmico della vita espressa dalla Dea madre e dal suo paraedro fecondatore "Babay" o "Merre": il Dio Padre universale. Nel mondo semitico dei cartaginesi quelle due espressioni della Fecondità divina portavano altri nomi, ma il concetto esoterico era analogo.

L'Epoca sardo-punica corrisponde ai primi due secoli del dominio romano in Sardegna.

Il dominio cartaginese sull'isola dovette, dopo la prima guerra punica, cedere il passo a Roma(18).

Nel 241-240 a.C. le truppe mercenarie stanziate nelle piazzeforti e nelle fortezze cartaginesi di Sardegna, si ribellarono facendo causa comune con i mercenari stanziati in Africa, all'indomani della prima guerra punico-romana (261 a.C.); i mercenari di stanza in Sardegna uccisero il loro comandante supremo, il cartaginese Bastare, seminando il terrore nell'isola. Dopo una serie di avvenimenti da cui derivò una violenta reazione dei sardo-punici, che, ribellandosi apertamente, scacciarono i mercenari dall'isola, il Senato romano, accettando l'invito dei mercenari, che si erano rifugiati a Roma, decise l'invio di truppe per l'occupazione della Sardegna (238 a. C.).

La data del 238 a. C. rappresenta, quindi, l'avvio della conquista romana della Sardegna. D'altro canto, Cartagine, che pure si accingeva alla riconquista dell'isola con l'invio di un contingente militare, dovette definitivamente riconoscere la conquista romana della Sardegna

e pagare una congrua indennità di guerra.
 
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